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La vicenda Promos, paradigma dell’ipocrisia del potere
Per i piccoli e medi imprenditori l’accesso al credito è praticamente impossibile. Ma ci sono società che con poche credenziali e garanzie quasi nulle ricevono dalle banche prestiti a sei zeri. Una storia tutta italiana.
Articolo di Vincenzo Imperatore su Lettera43
Ormai lo sanno tutti, anche i non addetti ai lavori, che a causare il tracollo di numerose banche e a inquinare il nostro sistema creditizio sono stati i tanti, troppi finanziamenti concessi a clienti che avevano una sola cosa in comune: l’alto tasso di inaffidabilità. Non è un problema da poco. Se la banca, infatti, non ottiene la restituzione (con i relativi interessi) dei soldi erogati, non può fare altro che iscriverli a bilancio alla voce «sofferenze» (nomen omen), sperando, prima o poi, di rientrarne in possesso. La faccenda si complica ulteriormente quando a rimanere coinvolte sono le banche con scarsa solidità patrimoniale: in questo caso le somme che i debitori non riescono a ripagare vanno a ingrossare il comparto dei famosi «crediti deteriorati» in misura così massiccia che la banca rischia di fallire. Con le conseguenze disastrose che già conosciamo: ignari cittadini risparmiatori che, all’improvviso, si scoprono truffati e senza un euro.
RUBINETTI CHIUSI, MA NON PER TUTTI. In questo processo di degenerazione l’aspetto più preoccupante riguarda proprio ciò che avvenuto dallo scoppio della crisi del sistema bancario (2008): i rubinetti del credito sono stati chiusi per i comuni mortali ma, come conferma anche la lista dei grandi debitori insolventi delle banche venete pubblicata in questi giorni, rimangono aperti per i cosiddetti «amici degli amici». Parliamo di tutti quei soggetti a cui gli istituti di credito – nonostante la crisi economica degli ultimi anni e le difficoltà di parecchie imprese a restare sul mercato – ancora oggi prestano volentieri, sempre e comunque, i loro quattrini. Società con poche credenziali creditizie e garanzie quasi nulle che ricevono dalle banche prestiti a sei zeri, mentre per i piccoli e medi imprenditori l’accesso al credito è praticamente impossibile. Quella che segue è una storia, raccontata nel mio ultimo libro Sacco Bancario, paradigmatica dell’ipocrisia del potere, degli scandali anche più recenti, dei casi che potrebbero mettere in ginocchio intere comunità di cittadini risparmiatori. Una storia simbolo della capacità, nel nostro paese, di essere bravi solo a fare le “autopsie”, le analisi ex post dei disastri. E poco capaci invece di fare “diagnosi e prognosi” quando il malato non è ancora terminale.
È la storia di una piccola impresa «benedetta» dal caso, dalla fortuna o, forse, da una «raccomandazione» giunta dall’alto. Un «pesce piccolo» che, mancando di solide basi patrimoniali e dunque di sufficienti garanzie, non avrebbe mai potuto ricevere soldi in prestito da una banca. Invece li ha ricevuti, e pure tanti. La banca di cui stiamo parlando si chiama Promos Spa e nasce a Napoli, nel 1980, su iniziativa di Ugo Malasomma e Tiziana Carano. All’inizio è una Srl che ha per oggetto sociale lo svolgimento di attività di intermediazione sui mercati azionari e obbligazionari italiani, poi seguiranno vari passaggi, come l’iscrizione all’albo della Consob nel 1991, l’ingresso nell’Abi (Associazione bancaria italiana) nel 1998 e infine l’iter di trasformazione in banca nel 2002. Ancora oggi ha un capitale sociale di soli 7.740.000 euro e nel suo consiglio di amministrazione siedono, tra gli altri, Luigi Gorga, che nel 2013, da presidente della Banca Popolare di Sviluppo, ha subito una sanzione da parte della Banca d’Italia, e Umberto de Gregorio, nel 2015 nominato dal governatore della Campania Vincenzo De Luca – per il quale aveva svolto il ruolo di coordinatore della campagna elettorale – al vertice dell’Eav (Ente autonomo Volturno), la holding che gestisce una larga fetta dei trasporti della regione.
UNA NOMINA CONTROVERSA. Per tale nomina, così come riporta il sito Dagospia, è stato inviato alla Procura di Napoli e all’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone un esposto contro il presidente dell’Eav per una presunta incompatibilità dell’incarico ricoperto, in quanto dipendente pubblico. De Gregorio, iscritto all’Ordine dei dottori commercialisti di Napoli, è infatti docente di Economia aziendale nell’Istituto tecnico commerciale Armando Diaz. Secondo la denuncia, l’assunzione della guida della società pubblica sarebbe in contrasto con il contratto nazionale scuola, oltre che vietata da specifiche disposizioni di legge. In più, sempre alla base dell’esposto, ci sarebbe la circostanza che De Gregorio avrebbe chiesto l’aspettativa circa un anno dopo la nomina alla guida della holding regionale. Un «doppio lavoro», al netto dell’incarico di consigliere di amministrazione di Banca Promos, che potrebbe aver provocato anche un danno all’Erario su cui probabilmente sarà chiamata a indagare la procura presso la Corte dei conti. Così’ come riportato da una inchiesta effettuata dall’Espresso sullo stato di salute delle banche sulla base di una elaborazione dati di R&S, la società di ricerche e studi di Mediobanca, Banca Promos presenta un alto grado di rischio.
NON UN FINANZIAMENTO QUALUNQUE. Ma ritorniamo alla nostra storia. Nell’aprile del 2015 (attenzione alle date) Promos finanzia l’acquisto del 22% della società K4A Spa Knowledge for Aviation – una giovane azienda che fabbrica aeromobili e veicoli spaziali, con sede a Ponticelli, un quartiere di Napoli – da parte della Hold and Fly Srl. Prezzo di acquisto: 1.720.000 euro. Un finanziamento come tanti, direte voi. Nient’affatto, perché la Hold and Fly Srl, in realtà, è una scatola vuota e l’operazione, per una piccola banca come Promos, è da considerare a dir poco rischiosa. Come mai si è andati avanti lo stesso? La verità è che la Hold and Fly Srl è stata costituita il 10 aprile 2015 dagli stessi soci di riferimento della K4A Spa, allo scopo di rafforzarne il gruppo di controllo e supportarne i piani di sviluppo. Banca Promos accorda ogni richiesta ma, in cambio, quali garanzie offre la Hold and Fly Srl? Nessuna, visto che ha un capitale sociale di appena 10 mila euro. Anzi, non potrebbe nemmeno essere finanziata, perché priva di alcuni requisiti necessari non ancora verificati: i risultati imprenditoriali, la competenza e l’esperienza maturata nel settore e il comportamento negli affari. Addirittura, al momento della richiesta del finanziamento e ancora oggi (8 settembre 2017), la Hold and Fly Srl risulta «inattiva» presso la Camera di commercio di Napoli.
Una società inattiva significa che non opera e pertanto non produce reddito, anche se legalmente costituita, dunque esistente sotto il profilo giuridico. «La banca in questione, come tutto il sistema bancario d’altronde», mi rivela l’ insider che ha deciso “anonimamente” di fornire i documenti, in base a una consuetudine che alcuni giudicano ormai superata ma che ancora oggi tende a essere osservata, «finanzia soltanto aziende già consolidate da almeno un paio d’anni di attività, che operino e producano reddito, risultante dal bilancio ufficiale, da almeno ventiquattro mesi». «Se poi ci aggiungiamo il fatto», continua il nostro interlocutore, «che la normativa interna della banca stabilisce che “di regola” non è possibile concedere finanziamenti ad aziende che non abbiano almeno sei mesi di vita “salvo deroga”, capiamo che tutto è possibile se deciso nelle segrete stanze del cda». Com’è stato possibile, dunque, che Promos abbia erogato ugualmente il prestito? Qui entra in gioco la fantasia. Il metodo seguito è stato quello di finanziare uno a uno i singoli soci della Hold and Fly, con un affidamento, sotto forma di scoperto di conto corrente, per complessivi 1.755.000 euro. Il problema è che neppure loro – lo attestano i documenti interni della stessa Promos, che il whistleblower mi ha procurato – sarebbero stati «teoricamente» in grado di restituire il prestito alla scadenza pattuita.
UN’IMPRESA CHE PIACE ALLA POLITICA. Per la maggior parte dei soci il rischio creditizio valutato da Crif è alto o addirittura negativo. Vero è che la banca ha chiesto in garanzia un pegno sulle azioni della K4A Spa possedute dai soci. Ma nessuno si è curato di stabilire se il loro valore nominale fosse realistico e coerente rispetto a quello riportato in bilancio. Nella fase istruttoria, secondo la testimonianza della fonte interna, questo controllo non risulterebbe essere stato fatto. Inoltre, come confermano i documenti a nostra disposizione, l’alto rischio connesso all’operazione è stato segnalato, in fase di istruttoria, dai funzionari proponenti e sottoposto agli organi deliberanti. Come mai nessuno ha raccolto l’allarme? Difficile dare una risposta. Certo, è forte il sospetto che il top management della banca avesse in testa solo il profitto immediato e che non si curasse di far correre un rischio agli altri risparmiatori. L’istituto, dal novembre del 2016, sempre secondo il racconto della fonte, era sotto ispezione di Bankitalia, un lavoro conclusosi nel giugno del 2017 senza riscontrare irregolarità. Ma le proporzioni dell’affidamento, per un’iniziativa imprenditoriale che a oggi risulta inattiva, parrebbero disattendere i più normali criteri di erogazione creditizia. Ma, a questo punto, dobbiamo fare un passo indietro, per conoscere più da vicino il «gioiello» che sta al centro di tutta questa vicenda: la K4A Spa. Un’impresa che piace, soprattutto alla politica. Ne parliamo la prossima settimana.