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Home » News » Il capo che vuole fare come Robinson Crusoe ha poche speranze
07/10/2021

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Il capo che vuole fare come Robinson Crusoe ha poche speranze

Non si muore di sola banca. Uno studio di Confindustria ha riportato che su 80mila imprenditori che ogni anno in Italia affrontano la successione generazionale “appena un quarto supera il primo passaggio, il 14% non supera il secondo mentre al terzo rimane in piedi solo il 5% delle imprese”. E il 63% delle aziende che sopravvivono al passaggio generazionale “non va oltre il quinto anno di vita”. In sostanza decine di migliaia di aziende lasciano il mercato per motivi che “non sono legati alla crisi o alle contingenze, ma a due pilastri della parte umana del capitalismo. La capacità intrinseca di fare business e di governare l’azienda”. Ne ho viste tante e tutte hanno in comune una caratteristica. Le piccole imprese di successo degli ultimi 50 anni hanno avuto la guida di una persona capace: l’imprenditore. Ma quelle stesse capacità, nel naturale processo di ricambio generazionale, hanno spesso portato quell’azienda al successivo default perché ogni aspetto di gestione era strettamente correlato alla eccessiva personalizzazione della figura dell’imprenditore. Che, soprattutto quando è anche fondatore, riveste sovente un ruolo come quello di Robinson Crusoe che sull’isola rimarrà per 28 lunghi anni, 12 dei quali passati in assoluta solitudine. Ciò, oltre a diminuire oggettivamente il valore dell’impresa, genera molte conseguenze negative:

1. complicazione del già difficile processo di successione generazionale;
2. rallentamento dell’acquisizione da parte dell’azienda di collaboratori dall’elevata professionalità;
3. difficoltà nel dotarsi di tecniche di gestione manageriali e tendenzialmente più oggettive. 

Come uscire da questa comprensibile, ma non giustificabile, modalità di gestione aziendale? Ci sono due strade: una, più oggettiva, si concretizza con l’introduzione in azienda delle tecniche di controllo di gestione; l’altra con la crescita del peso professionale dei collaboratori aziendali. È evidente che a queste due modalità si approda solo dopo aver vinto le resistenze psicologiche e culturali dell’imprenditore e a tal fine risulta spesso utile la sua partecipazione a corsi di formazione specificamente pensati per questa realtà dimensionale di imprese e l’affiancamento di consulenti di direzione (che non sono i commercialisti).

Attraverso la progettazione e l’implementazione di un sistema di controllo di gestione si realizzano due obiettivi fondamentali per perseguire la spersonalizzazione dell’azienda: si attua il processo di delega decisionale e di conseguenza si enucleano ai diversi livelli aziendali gli obiettivi da raggiungere e le collegate responsabilità. Nulla di più utile per passare da un controllo di processo, tipico dell’accentratore, a uno di risultato.

In termini di gestione del personale si pongono le premesse per una valutazione oggettiva delle prestazioni dei collaboratori con le possibili ricadute sul sistema di incentivazione attraverso la parte variabile della retribuzione. Occorre, infatti, passare da una logica di premio stabilita dall’imprenditore soggettivamente ed ex post a una di incentivo predisposta o contrattata ex ante con il collaboratore.

Per perseguire invece la via dell’innalzamento del profilo professionale favorendo la crescita del peso specifico manageriale dei propri collaboratori, la scelta principale è quella tra mercato interno ed esterno del lavoro. A parità di altri fattori, conviene ricorrere alla prima opzione quando la situazione prospettica dell’azienda sembra destinata a non subire particolari cambiamenti nel futuro prossimo, mentre in attesa di significative evoluzioni strategico-organizzative conviene perseguire il medesimo obiettivo della spersonalizzazione, inserendo in azienda persone nuove che oltre alle proprie competenze apportino anche visioni e modalità operative innovative.

Se per diversi motivi di opportunità si pensa più efficace fare riferimento alla prima opzione, la strada da seguire è quella della valutazione del potenziale dei propri collaboratori e, per i più promettenti, quella successiva della formazione. Nel caso si decida di ricorrere al mercato esterno, la via per accedervi è quella di un’efficiente selezione affidata a professionisti del settore.

Attorno all’imprenditore non bastano più solo degli executive funzionali, ma occorre “un gruppo dirigente” la cui costituzione richiede tempo, energie e capacità. Altrimenti Robinson Crusoe non riuscirà ad arginare lo tsunami che si sta per abbattere sulla sua isola.

Articolo di Vincenzo Imperatore per ” Il Fatto Quotidiano”.

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