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Diamanti, altre responsabilità delle banche
Articolo di Vincenzo Imperatore su “Il Roma”
In questa ultima settimana si è scritto e parlato tanto del provvedimento preso dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) che ha comminato, a seguito di segnalazione della associazione Altroconsumo, una multa a due imprese venditrici di diamanti come “prodotti finanziari” e quattro banche per quasi 15 milioni di euro. Le imprese si chiamano Diamond Private Investment (Dpi) e Intermarket Diamond Business (Idb). Le banche sono Intesa Sanpaolo, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena e Banco Bpm e svolgevano il servizio di segnalazione (ricevendo una lauta percentuale) ai propri clienti del prodotto, sostenendolo e garantendone con la forza del proprio brand la serietà e l’affidabilità delle società DPI e IDB.
Ma soprattutto è stata la settimana dell’olimpiade del “io lo avevo detto per primo”, una gara tra autorevoli commentatori di altrettante prestigiose testate per salire sul podio per la medaglia d’oro “primus inter scoop”. Credo che un simpatico ed ironico, ma assolutamente non risentito, ricorso mi sia consentito. Il primo che ha scoperchiato il pentolone dei diamanti venduti in banca è stato un autore di un libro edito da Chiarelettere (IO SO E HO LE PROVE) con il capitolo “un diamante è per sempre”.
Il libro è uscito in tutte le librerie il 16 ottobre 2014 ma già dal 10 ottobre recensito dai principali media del paese che riprendevano lo “scandalo diamanti”. Solo il programma Report, con una interessante ed approfondita inchiesta, trasmise un servizio il giorno 17 ottobre 2014. Quindi tutti gli altri giù dal podio!
Oggi però voglio mettere a disposizione dei lettori alcuni documenti che ci permettono di fare delle riflessioni sulle sconsiderate politiche commerciali attuate da una di quelle banche multate.
In primis occorre ricordare che i manager che pensarono e stipularono l’accordo con le società specializzate e successivamente sollecitarono la rete delle filiali a vendere un prodotto altamente redditizio per la banca (retrocessioni dal 20% al 40%) sono gli stessi che oggi, come più volte ribadito su queste colonne, dopo essere stati “allontanati” dal nuovo amministratore delegato JP Mustier per le inefficienze procurate (portarono nel 2016 il valore del titolo Unicredit ai minimi di 1,7 euro rispetto ai 43 euro circa del 2007), sono stati scelti per governare le banche in crisi.
Una strategia commerciale che, così come riportato nel documento messo a disposizione delle filiali a cui fa riferimento il top management dell’epoca, individua qualche responsabilità aggiuntiva rispetto alla vendita dei “diamanti da investimento” con modalità «gravemente ingannevoli e omissive».
Già nel 2002 nel protocollo di accordo tra Unicredit e IDB (una delle due società specializzate) si fa riferimento a un “prodotto fiscalmente neutro” e che rimane “anonimo nei confronti del fisco”, un chiaro messaggio subliminale al risparmiatore “tentato dall’evitare di pagare le tasse”. Si potrebbe in tal caso pensare al reato di “induzione alla evasione fiscale”?
Infine una piccola riflessione non può non riguardare gli autorevoli e preparati analisti del Sole24Ore. E’ vero che le banche facevano credere ai risparmiatori, traendoli in inganno, che esisteva un fixing (un mercato ufficiale) dei diamanti consegnando una brochure in cui spacciavano una inserzione pubblicitaria (delle società specializzate) per una quotazione derivante dall’incontro tra domanda e offerta, ma è mai possibile che nessuno riusciva ad accorgersi di quanto stava accadendo sotto il loro naso e fare informazione di servizio?