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Gli inganni della finanza, tanti quanto la muraglia cinese
Occhio alle operazioni di switching
Articolo di Vincenzo Imperatore per “Il Roma”
Perché non proviamo, una volta tanto, a seguire la Cina per combattere gli inganni della finanza? Il regolatore bancario cinese, infatti, da circa un anno, ha richiesto agli intermediari finanziari, al fine di proteggere meglio gli investitori, di registrare in video e audio tutte le vendite di prodotti d’investimento.
Perché nel nostro paese sembra che i consulenti finanziari si siano già attrezzati per eludere le barriere di protezione (per il risparmiatore) rafforzate con la introduzione, a partire dal 3 gennaio 2018, della disciplina della Direttiva Comunitaria MiFID II. L’ultima diavoleria, rivelatami da un consulente di una primaria rete bancaria, riguarda le operazioni di switching, ovvero quelle operazioni che prevedonoil disinvestimento da un fondo (con relativa liquidazione) e il contestuale reinvestimento in un altro fondo.
Il motivo è semplice: per oltre un decennio, nonostante le limitazioni già presenti in Mifid I, le banche hanno operato un ingannevole e subdolo processo di sistematica e reiterata ricomposizione del portafoglio di un risparmiatore solo per fare ricavi attraverso l’incasso delle commissioni e senza alcun beneficio (se non perdite) per il cliente.
Al fine di prevenire il protrarsi di questi fenomeni di sciacallaggio commerciale, Mifid II ora prevede che le banche debbano raccogliere le necessarie informazioni sia sugli investimenti esistenti del cliente che sui nuovi investimenti raccomandati e verificare che i benefici derivanti dalle modifiche di portafoglio siano superiori agli eventuali maggiori costi che il cliente dovrebbe sostenere.
Con l’entrata in vigore della normativa in tutti (o quasi) gli istituti di credito è stata pertanto adottata una soluzione che prevede il controllo automatizzato dei benefici di prodotto (es. copertura, protezione/garanzia, efficienza) e consente, laddove i benefici di prodotto non siano sufficienti a coprire i maggiori costi derivanti dal nuovo portafoglio, di indicare quali sono i benefici del nuovo portafoglio (avvicinamento al profilo di rischio del cliente, aumento della diversificazione, diminuzione rischio di credito e rientro in adeguatezza).
In altri termini, se i benefici di prodotto risultano minori dei costi (anche scontati) e non vi sono benefici di portafoglio, la proposta è considerata non adeguata e non sarà possibile darvi corso.
La macchina si blocca e non permette di chiudere l’operazione!!
Ma i benefici di portafoglio, cosi come riporta la disciplina MIFID II, possono anche essere semplicemente “dichiarati” dal consulente.
Ecco, proprio questo punto nasconde il seme dell’inganno che in banca i consulenti stanno già perpetrando. In altri termini, per evitare che il software blocchi l’esecuzione di un’operazione di switching (a svantaggio del risparmiatore-cliente), il consulente si inventa una situazione di portafoglio prospettico con enormi benefici.
Non costa nulla, per il consulente, nel momento in cui sta per chiudere l’affare “tranello”, “dichiarare” nella applicazione informatica che il cliente gli ha rivelato (come fai poi a contraddirlo? E’ una semplice dichiarazione!) che, nei successivi sei mesi ad esempio, ha in scadenza un investimento presso un’altra banca e che il ricavato derivante dalla liquidazione sarà utilizzato per l’acquisto di un prodotto con enormi benefici che, seppur immaginari o quantomeno mai concretamente goduti, siano tali da superare i costi, quelli sì concreti e pagati, oggetto della operazione di switching che il consulente sta proponendo.
A vantaggio solo della banca, naturalmente!
Quando scatteranno poi i previsti controlli ex post sarà di nuovo troppo tardi. Per il cliente, ovviamente!