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Le banche italiane e la necessità di un ricambio cromosomico
Nei prossimi tre anni rischiano di svanire 30 mila posti di lavoro nel settore. Ma qualcuno è già al riparo. “Merito” della logica malsana che regola l’ascensore professionale nel nostro Paese.
Articolo di Vincenzo Imperatore su “Lettera43”
Il futuro del bancario è incerto, non solo per la garanzia dei livelli occupazionali, ma anche e soprattutto per il necessario ma finora inattuato ricambio generazionale e cromosomico del management. Nei prossimi tre anni rischiano di svanire 30 mila posti di lavoro nel settore: tanti sono gli esuberi calcolati dai banchieri (e non bancari) per mettere a posto i disastrati conti economici degli istituti di credito. Eh sì, perché ora il problema più importante della malagestio delle banche non sono le (troppe) regole inefficienti, i formali controlli, la scarsa moralità di tanti consigli di amministrazione, le dissennate politiche creditizie, le aggressive strategie commerciali e i comportamenti illegittimi. No. Ora il vero problema delle banche sono i dipendenti (i bancari) e il loro numero eccessivo. Un processo irreversibile e che ha già causato la perdita in circa dieci anni di più di 40 mila posti di lavoro nel settore (da 344.688 nel 2007 a 302.758 nel 2016). Una situazione che, di questo passo, potrebbe riflettere nel sistema bancario ciò che la metallurgia ha vissuto negli Anni 80. Ma, come vedremo, non tutti i bancari rischiano il posto.
UNA NORMA NON SCRITTA. Non solo. Un tempo in banca, quando i livelli occupazionali erano assicurati, esisteva una norma non scritta che prevedeva l’assunzione del figlio del dipendente che stava per andare (o veniva mandato) in pensione anticipatamente. Una sorta di gentlemen’s agreement tra azienda e dipendente, per assicurare da un lato lo svecchiamento e l’aumento di produttività, e dall’altro per garantire un futuro ai propri figli. Ora non più, questa pratica non è più consentita. Ma non per tutti i bancari. Chi sono i privilegiati che ancora oggi possono godere di questi benefici (assunzione in sostituzione del padre «pensionando» e garanzia del posto di lavoro)? Sono i “figli di…” quelli che siedono nelle segrete stanze, dei top manager, dei notabili della finanza, sempre loro, che hanno salvato capra e cavoli trovando, da un lato, il modo di rispettare le nuove disposizioni e tutelare l’immagine (neppure mio figlio viene assunto nella mia banca) e, dall’altro, di sistemare gli affari di famiglia. Come? Con il classico sistema clientelare, un gioco di incroci, che la lobby finanziaria gestisce efficacemente: il figlio del dirigente di una grande banca viene assunto in un’azienda di un altro colosso della finanza e il discendente del top manager di quest’ultimo si ritrova in una consociata della prima. Ne ho le prove. Sia dirette, vissute quando ero coordinatore dell’ufficio gestione risorse umane di una banca, che indirette. Provate a fare sui social una ricerca basata sui cognomi dei top manager delle banche italiane e avrete la risposta.
Il potere dei vertici bancari, però, si fa sentire ancora prima. È il potere della raccomandazione, quella pratica riconosciuta anche dal Dizionario Treccani come «intercessione in favore di una persona, soprattutto al fine di ottenerle ciò che le sarebbe difficile conseguire con i mezzi e i meriti propri o per le vie ordinarie». È uno dei mali principali che nel nostro Paese ha definitivamente bloccato l’ascensore professionale (oltre che quello sociale). Anche perché la raccomandazione viene utilizzata in maniera distorta. La raccomandazione nelle società meritocratiche (soprattutto anglosassoni) è una pratica seria e serve ad accelerare il processo di valorizzazione del merito e a misurare la civiltà di un popolo. Quando un giovane, per esempio, fa domanda per essere ammesso all’università, gli vengono chieste delle lettere di raccomandazione da parte di persone che lo conoscono bene. Queste lettere costituiscono un elemento importante per la selezione e vengono prese sul serio sia da chi le scrive, sia da chi le legge. In Italia, invece, la raccomandazione si fa per accelerare il processo di inserimento (e di affermazione) nel mondo del lavoro dei coglioni. Espressione colorita ma densa, tra l’altro utilizzata anche in letteratura (da Giacomo Leopardi, per esempio, nel 1821, nella lettera al giornalista Pietro Brighenti) per identificare gli incompetenti, gli inefficienti, gli stupidi: «Amami, caro Brighenti, e ridiamo insieme alle spalle di questi coglioni che possiedono l’orbe terraqueo».
LARGO AI “FIGLI DI…”. Paradigmatica operazione di raccomandazione è una storia di cui sono stato testimone e protagonista quando ero ancora in banca. Riguarda un “figlio di…”, perché il privilegiato è oggi un manager in carriera di una delle principali società di gestione del risparmio della più importante banca italiana, uno di quelli che costruisce i prodotti spazzatura poi venduti a migliaia di ignari cittadini. E il cerchio si chiude. Pochi anni fa, quando ero responsabile di area della banca per la quale ho lavorato 22 anni mi sono trovato implicato in una storia di raccomandazioni e privilegi solo perché, in quel periodo, uno dei consulenti personal banking di una filiale sotto la mia direzione era il coniuge di un professionista il cui cognome faceva risalire (era lo zio) a uno dei più illustri accademici della facoltà di Giurisprudenza di Napoli. Questo legame era stato individuato anche da un top manager (mio superiore), che una sera mi telefona dicendo, in tono perentorio e senza diritto di replica: «Se il consulente vuole fare carriera, se vuole diventare direttore entro un anno, deve far laureare presto e bene mio figlio, gli mancano otto esami». Stop. Ubi maior minor cessat, ma con le dovute cautele…
LAUREA IN RACCOMANDAZIONE. Erano gli anni in cui iniziavo a maturare l’idea di abbandonare quel mondo, che non sentivo più mio, e per tutelarmi di fronte a una storia «molto grossa», che coinvolgeva anche i notabili della città, ho deciso di registrare tutte le comunicazioni che riguardavano lo sviluppo della vicenda. All’indomani convoco nel mio ufficio il consulente personal banking, cui riferisco, con molta diplomazia e linguaggio appropriato, che «il suo processo di sviluppo di carriera avrebbe avuto un’accelerazione se il “parente famoso” avesse accompagnato il rampollo verso la laurea». Il consulente non si scompone affatto, a conferma che si tratta di una pratica a cui è abituato, e inizia a organizzare il tutto. Economia dello sviluppo: voto 28; Statistica economica: voto 30; Diritto commerciale: voto 27. Tutto sembra filare liscio, i professori titolari di cattedra di queste materie sono tutti «amici» dell’insigne accademico, la media voti degli esami sta tenendo. Ma poi arriva l’esame di Macroeconomia e il genietto racimola un misero 18. Apriti cielo. Inizio a ricevere subdole pressioni da parte del mio superiore, che vuole avere chiarimenti in merito. La risposta è semplice: il genietto ha trovato un professore che si è voluto solo parzialmente piegare alla logica della raccomandazione.
Attenzione, ho detto «solo parzialmente» perché, quando telefono a un suo assistente (tra l’altro cliente della banca), la risposta (sempre registrata) è: «Caro direttore, riferisca a chi di dovere che il professore ha detto che il ragazzo non valeva nulla, nemmeno il 18. Gli è stato fatto un regalo perché è un coglione nonostante il cotanto cognome». Mi guardo bene dal riferire al mio superiore le testuali parole, ma gli faccio presente che il ragazzo forse si doveva impegnare di più. La risposta è, nello stile di chi vive deliri di onnipotenza, altrettanto lapidaria: «Avvisa […] che non diventerà mai direttore di filiale se per i prossimi quattro esami il ragazzo non prende il massimo dei voti. Deve prendere 30 e basta. L’esimio parente ci deve garantire gli esami con 30». E le cose vanno proprio così. Diritto pubblico, Statistica, Lingua inglese e Diritto dell’economia: un lotto di quattro 30. Ma non finisce qui.
UNA TELEFONATA ELOQUENTE. C’è da scrivere la tesi di laurea. Ed ecco un’altra telefonata del mio superiore: «Devi dire all’emerito professore che l’argomento della tesi riguarderà “l’accordo di Basilea 2”, il materiale che abbiamo noi in banca per questo tipo di ricerca non lo tengono nemmeno loro all’università, ora metto a studiare e lavorare tre-quattro persone della banca [sbaglio o si tratta di abuso di atti d’ufficio, reato previsto dall’articolo 323 del codice penale?], e facciamo subito subito. Lui deve solo darci dieci punti e fare presto. Perché qui non possiamo perdere tempo, abbiamo altro da fare». Il tempo però serve al consulente che, abile nei meccanismi clientelari del nostro Paese, mi risponde: «Direttore, sarà fatto tutto ma ora il processo deve essere un po’ rallentato perché io devo ottenere una promozione dopo che mio figlio avrà terminato l’anno scolastico. Ora il suo superiore deve aspettare. Già abbiamo fatto tanto. Quindi noi [intesa come famiglia di appartenenza] ci metteremo a disposizione solo quando sarà il momento. Noi metteremo la ciliegina sulla torta [laurea] e lui ricambierà con la promozione». È inutile illuderci: nel nostro Paese il futuro dell’italiano passa per la costruzione dell’italiano del futuro.