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Home » News » La crisi delle banche? Non è colpa degli “amici degli amici”
07/09/2021

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La crisi delle banche? Non è colpa degli “amici degli amici”

La situazione odierna è il risultato di una politica gestionale miope, per cui sono stati concessi finanziamenti con leggerezza a tutti. Non solo a pochi privilegiati. Questo è stato il vero male del sistema.

Articolo a cura di Vincenzo Imperatore su Lettera 43

Una delle domande che ultimamente mi viene rivolta piu frequentemente anche da autorevoli commentatori, influenzata pure dalla cronaca e della mistificazione dei fatti, riguarda la “leggerezza” con cui i banchieri hanno concesso finanziamenti agli “amici degli amici”: perché i soldi si continuano a dare solo a “pochi privilegiati”? Così come ribadito su queste colonne circa due anni fa, in banca non esistono “gli amici degli amici”. Certo i media hanno bisogno del “sangue” per far leggere la notizia e quindi l’Npl dell’azienda di Maurizio Zamparini fa molti più “mi piace” del contenzioso della Gennaro Esposito srl. Ma molti opinion leader, spesso, sono ignoranti della materia finanziaria. Non hanno un quadro di riferimento, una relativa cornice culturale ed esperenziale e scrivono senza sapere, facendo uso superficiale della grande responsabilità di informare. Un danno, insomma. Un pericolo per chi è costretto ad utilizzarli come veicolo di notizie, e per chi li ascolta e si fida di quel che raccontano.

LA MALA GESTIO PRIMA DI TUTTO. Ciò che non è stato detto finora infatti è che per le banche (e i banchieri) gli “amici degli amici” non esistono più quando poi i loro interessi (anche personali) non sono garantiti. Esiste solo ed esclusivamente la “mala gestio” perché gli Npl (non performing loan) di oggi sono il risultato di una politica gestionale miope e di breve periodo per effetto della quale i banchieri hanno largheggiato (è divenuta “cultura” creditizia) in finanziamenti concessi con leggerezza a tutti (anche ai non amici) senza curarsi che gli investimenti dei beneficiari fossero sicuri e redditizi. Esiste però una linea di demarcazione tra il periodo in cui i soldi si davano a tutti (grandi e piccoli) e il periodo in cui si sono privilegiati gli amici degli amici (solo grandi). Questa linea di demarcazione ha una data precisa: 15 settembre 2008. Lehman Brothers, la quarta banca d’affari degli Stati Uniti, dichiara fallimento. Non è solo uno degli eventi più drammatici della storia economica e finanziaria degli ultimi decenni, ma ha anche un ruolo decisivo nel propagare la successiva crisi globale. Dalla quale l’Italia deve ancora riprendersi. Dopo il 2008 i finanziamenti sono stati dirottati laddove il banchiere intravedeva una possibilità di salvataggio attraverso una azione lobbistica effettuata dagli amici influenti.
Se andiamo con il calendario a prima del settembre 2008, per esempio, Unicredit, una delle più grandi banche italiane, nel periodo 1999-2005 ha messo in piedi un’operazione su vasta scala (poi ripresa anche negli ultimi anni ma in dimensioni molto ridotte) chiamata “C’è un fido per te”: un’iniziativa standardizzata per concedere finanziamenti a piccole imprese sulla base di una preanalisi sommaria (eseguita solo sull’ultimo bilancio ufficiale e su un’aggiornata visura camerale) e «centralizzata» (fatta cioè nelle torri cablate delle direzioni generali dai cosiddetti segment manager).

UN MECCANISMO SEMPLICE. Il meccanismo era semplice. Arrivava in filiale un elenco di aziende, non ancora clienti, che venivano ritenute «affidabili» dalla direzione centrale e contattate per comunicare loro che avevano ottenuto un finanziamento di 30 mila euro. Nessun approfondimento ulteriore. Punto. Bastava un clic. Non c’era da meravigliarsi (e men che meno se ne stupiva il top management della banca, che pensava solo ai profitti «immediati, facili e allegri»), quindi, se un responsabile di filiale poteva erogare un affidamento (già autorizzato dalla direzione generale) di 150 mila euro a un’impresa che dalla visura camerale risultava essere «un’azienda di produzione cinematografica». Peccato che, anziché Aurelio De Laurentiis, proprietario dell’azienda era magari un ragazzo di 25 anni, che riproduceva film porno in un locale di 20 metri quadri. Però, formalmente, le «carte erano a posto»: il bilancio (falso) era stato regolarmente depositato in Camera di Commercio e la visura camerale non faceva emergere alcuna evidenza negativa.

UN CONTENZIOSO DOPO L’ALTRO. Quell’iniziativa ha coinvolto qualcosa come 300 mila piccole imprese. Un successo di dimensioni enormi, direte voi. Non proprio. Sapete qual è, oggi, la percentuale di contenzioso sui nominativi implicati in quell’operazione? Una fonte interna ci riferisce che si tratta del 50% circa. Una cifra che non ha bisogno di essere commentata. Dopo il 2008 poi c’è stato il credit crunch e i finanziamenti sono stati dirottati laddove il banchiere intravedeva una possibilità di salvataggio attraverso una azione lobbistica effettuata dagli amici influenti. La morale è: se per la imminente campagna elettorale vi servono le notizie (false) che fanno “sangue” allora riempite i palinsesti di commentatori inesperti; se invece volete fare un’analisi seria del default del sistema bancario e proporre soluzioni, allora andate alla ricerca di studi approfonditi da parte di chi conosce davvero quel mondo.

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