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Home » News » Unicredit è malata, ma le cure sono un placebo
07/09/2021

By: gestione

Unicredit è malata, ma le cure sono un placebo

Tagli al personale e cessioni di asset non bastano. Per salvare l’istituto servono 13 miliardi. Sarà Société Générale a metterli? Francesi o no, soci vecchi o nuovi devono mettere mano al portafoglio. Altrimenti non rest

Articolo a cura di Vincenzo Imperatore su Lettera 43

Se Mps è in fin di vita, UniCredit non gode certo di una salute di ferro. Ma i malati si curano. Se pertanto già piangiamo il possibile decesso clinico di Mps per i risparmi degli italiani che andranno in fumo con l’applicazione del bail in, allo stesso modo ci preoccupiamo di fronte al temerario e complesso piano di salvataggio progettato dal Ceo di UniCredit Jean Pierre Mustier. Una cura intensiva da 20 miliardi di euro. Venti miliardi e non 5-7-8-13 miliardi, questa la crescente previsione effettuata (e sbagliata) dgli impreparati analisti “distratti” dalle dichiarazioni rassicuranti del precedente amministratore delegato Federico Ghizzoni che ha trascorso, sempre appoggiato dal consiglio d’amministrazione, gli ultimi anni a smentire la necessità di un nuovo aumento di capitale, dopo i tre fatti dal 2008 al 2012 per quasi 15 miliardi.UNA TERAPIA DOLOROSA, CORAGGIOSA E STRANA. Noi a Lettera43.it non siamo caduti in questo tranello. Come dicevamo, la terapia prescritta da Mustier, che ha giustamente scaricato la responsabilità sulle precedenti gestioni («misure necessarie per gestire i problemi ereditati dal passato»), è dolorosa, coraggiosa ma soprattutto strana e prevede:

  • Un taglio dei costi da 1,7 miliardi realizzato mandando a casa 6.400 dipendenti e chiudendo 900 filiali. Un medicinale che si trova in giro facilmente ed è prescritto dal “servizio sanitario nazionale” (legge Fornero).
  • Le cessioni dei gioielli di casa (la banca polacca Pekao, il gestore del risparmio Pioneer e il 30% della Fineco) che valgono 6 miliardi e rotti. Anche questo farmaco è reperibile sul mercato senza particolari preoccupazioni ed è ovviamente gratuito.
  •  13 miliardi di capitali freschi. Ops, questo medicinale è introvabile al momento. Chi metterà tutti questi soldi? Presso quali “farmacie” si riuscirà a ottenere questo prodotto? Sicuramente non presso i privati già scottati dalle precedenti forzate sottoscrizioni di aumenti di capitale. I soci arabi di Aabar? Sono riflessivi. Il fondo Capital Research, che ha già una quota del 6,75% ? O, udite udite, presso la “pharmacie de garde” della francese Société Générale, che Mustier lasciò, da buon amico, nel 2009 dopo una condanna per insider trading.

E qui gli indizi sono tanti. Innanzitutto ci sembrerebbe molto strano che Mustier si tagliasse la parte fissa dello stipendio a 1,2 milioni l’anno e rinunciasse alla buonuscita se non fosse stato rassicurato da un potenziale futuro proprietario sui proventi futuri. Ma, soprattutto, ci sembra estremamente anacronistico e fuori dall’ordinario il coraggio con cui il Ceo ha pensato di ricostruire una banca “semplice”, senza partecipazioni e interamente commerciale, ripulendo il suo bilancio al punto tale da lasciarne solo lo scheletro sano. Una pulizia che, così come da noi anticipato a luglio 2016, calcoli quelle “sofferenze” iscritte in bilancio al suo vero valore e non come attualmente appostate.

SOFFERENZE SOTTOVALUTATE. Facciamo un passo indietro: le banche finora hanno messo a bilancio il valore atteso di recupero sulle “sofferenze” (i prestiti inesigibili o difficilmente esigibili), in media al 40% (su 100 euro prestati puntano a recuperarne 40), coprendo le perdite (60) sul restante. Ma era, per evitare il tracollo, una valutazione estremamente prudenziale. Unicredit ha infatti messo nero su bianco che quelle “sofferenze” valgono invece il 26% del loro valore facciale (su 100 euro prestati puntano a recuperarne 26), iscrivendo a bilancio una perdita di 74 che comporta, in valore assoluto, l’iscrizione di 12,2 miliardi di perdite straordinarie sul bilancio 2016, di cui 8 di rettifiche su crediti.

UN PIANO STRATEGICO CHE IGNORA I RICAVI. Terzo e ultimo indizio: nel piano strategico, poco o nulla si parla di ricavi. Si accenna al fatto che gli stessi cresceranno mediamente di un ridicolo 0,6%, ma nessun riferimento a politiche commerciali, strategie di conquista di quote di mercato, innovazione di prodotto o di procedure. E come si pagheranno i dividendi a quei nuovi azionisti, probabilmente francesi, che si impegnano non certo per scopi filantropici? Mica si accontenteranno di una redditività inferiore al costo del capitale immesso nella banca? Mica saranno così sciocchi da comprarsi una banca che, dopo tutti questi sacrifici, nel 2019 raggiungerà un CET1 (indice che misura la solidità della banca) solo del 12,5%, considerato il minimo effettivo dalla vigilanza bancaria Ue? E se dovessero saltare fuori altre “sofferenze”, al momento tenute nascoste tra i crediti sani. Tre indizi fanno una prova: Unicredit sarà svenduta e consegnata come malato terminale ai francesi che ne faranno la cassaforte per la raccolta del risparmio. In alternativa ci sarà il cimitero del bail in.

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