Vivere alla giornata aspettando gli aiuti (!!!) di Stato è un suicidio. Non sarà solo colpa delle banche e delle misure del governo per fronteggiare la crisi da coronavirus. Se falliranno molte imprese la responsabilità non potrà non ricadere anche sulle scelte e le decisioni dell’imprenditore.
Ricordiamo che la parola “crisi” deriva etimologicamente dal greco κρίσις che significa appunto «scelta, decisione».
Quella che ci aspetta sarà una crisi di lunga durata che ci metterà di fronte a sfide nuove e importanti. Talmente lunga che addirittura dovremmo non parlare più di crisi ma di un diverso modello economico basato su livelli di redditi e consumi completamente differenti.
Hanno costruito nel frattempo manager abbastanza solidi da prendere decisioni ponderate e corrette anche quando il mondo accelera, che è sostanzialmente ciò che avviene durante una crisi?
Perché la gestione di una crisi (che, ribadiamo, non è più crisi quando diventa stabile) ha due fasi:
Considerate il tipico infarto che colpisce nel cuore della notte. La squadra di pronto soccorso porta il paziente in ospedale, dove team esperti di medicina e chirurgia d’urgenza lo sottopongono a procedure prestabilite perché non c’è tempo per l’improvvisazione creativa, lo stabilizzano e poi gli praticano l’angioplastica o eventualmente un bypass coronarico.
L’emergenza è passata ma resta ancora tutta una serie di problemi complessi, ancorché meno urgenti. Quando si riprenderà dall’intervento, come farà a prevenire un altro infarto? E come potrà adattarsi alle incertezze della sua nuova condizione clinica per vivere una vita quasi normale? La crisi è tutt’altro che risolta.
Un’impresa che dipende esclusivamente dal “metodo del naso”, il famoso e ormai logoro “fiuto” dell’italico imprenditore, per rispondere alle sfide di un mondo in trasformazione rischia il fallimento. Questo rischio aumenta se traiamo le conclusioni sbagliate basandoci sulla ripresa (+4,25% del PIL mondiale nel 2021 secondo il FMI) che farà probabilmente seguito alla crisi economica in atto.
Molti sopravvivono agli infarti, ma quasi tutti i pazienti che vengono sottoposti a interventi di cardiochirurgia tornano ben presto alle antiche abitudini: solo un 20% smette di fumare, cambia dieta o si mette a fare più esercizio fisico.
In effetti, riducendo il senso di urgenza, il successo del trattamento iniziale crea l’illusione di un ritorno alla normalità. L’abilità tecnica dei medici esperti, che risolve il problema immediato della sopravvivenza, distrae involontariamente i pazienti dall’obiettivo di cambiare vita per stare bene a lungo.
I rischi e l’incertezza rimangono, ma la minore urgenza impedisce alla maggior parte di essi di focalizzarsi sull’importanza del cambiamento.
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