Conti in rosso, consiglio di amministrazione spaccato, governance sfiduciata, indagini della magistratura, denunce e querele. Benvenuti nel mondo di Carige. O forse sarebbe meglio dire nel mondo di UniCarige. La dissestata cassa di risparmio di Genova sembra infatti non volersi distaccare da una governance che sia legata al passato di Unicredit. Non credo per ragioni storico-geografiche visto che l’istituto di piazza Gae Aulenti ha il suo primordiale antenato in quella Banca di Genova, nata nel 1870 e poi trasformata nel 1895 in Credito Italiano. Dopo la contestata gestione di Paolo Fiorentino, fino all’estate 2016 chief operating officer di Unicredit e poi dal giugno 2017 al timone dell’istituto genovese (insieme con Andrea Soro, in veste di direttore finanziario, a sua volta un ex Unicredit), infatti, nella prossima infuocata assemblea del 20 settembre le varie componenti azionarie si presenteranno tutte con proposte di governance targate (ex) Unicredit. Il contestato Fiorentino fa parte della lista capeggiata dal finanziere romano e candidato presidente Raffaele Mincione, che peraltro detiene il 5,4% del capitale sociale della banca ma che forte del patto con Gabriele Volpi e Aldo Spinelli totalizza, al momento e in attesa di ulteriori azioni di consolidamento, un complessivo 15,2%.
È mai possibile che nessuno si soffermi sui danni già prodotti dai manager che avevano portato nel 2016 il valore del titolo Unicredit ai minimi di 1,7 euro rispetto ai 43 euro circa del 2007? È verosimile che nessuno si ricordi dei manager della finanza aggressiva che hanno tra l'altro creato a Piazza Cordusio il disastro derivati? Perché in questi anni nessuno dei cacciatori di teste che lavorano per le grandi banche (e che hanno avuto e hanno tuttora un “gran da fare” per cercare dei manager capaci che sappiano rimediare ai disastri spesso causati da chi li ha preceduti) non si sono mai interessati a quei manager (di solito di banche piccole) che fanno funzionare ciò che i soliti nomi hanno distrutto e possono ancora distruggere? O almeno cercare di capire se sono davvero bravi oppure magari solo fortunati? In Italia si tende a non voler vedere i casi di eccellenza, che pure ci sono, perché si preferisce appiattire tutto verso il basso. I bravi e i competenti rompono il sistema. Chi è bravo... meglio nasconderlo: sia mai possa raggiungere posizioni più alte e scalzare dalle poltrone (che non meritano) i soliti noti, quelli che sanno tanto, forse troppo, del Sacco Bancario e di come funziona il sistema e fanno il giro, come nel ben noto “gioco dell’oca” , delle cabine di pilotaggio delle segrete stanze.
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